Pagine Esteri, 6 maggio 2024. Israele sta ordinando alla popolazione palestinese stipata a Rafah di lasciare l’area per raggiungere zone definite “umanitarie”. Telefonate, sms, volantini, trasmissioni in lingua araba: l’esercito ha intimato alle persone nella zona di ash-Shoka, nei quartieri di as-Salam, Janina, Tabet Ziraa e al-Byouk di spostarsi velocemente in previsione di un attacco massiccio.
Proprio quando un accordo per il cessate il fuoco e lo scambio di ostaggi sembrava più vicino, Israele e Hamas hanno comunicato il fallimento delle trattative, incolpandosi l’un l’altro. Domenica il gruppo islamico che ha ucciso quattro soldati israeliani vicino al valico di Kerem Shalom, dove si sono ammassate le truppe in previsione dell’invasione di Rafah. Israele ha aumentato i bombardamenti proprio nella zona al confine con l’Egitto, causando la distruzione di diversi edifici residenziali e l’uccisione di numerose persone, tra cui bambini. Solo nelle ultime ore sono state almeno 16 le persone uccise per un raid israeliano contro due case. Nove morti della famiglia Al Attar e altri sette della famiglia Kishta.
Le questioni più importanti sul tavolo delle trattative riguardavano la durata del cessate il fuoco, che Israele voleva temporaneo e Hamas definitivo e proprio l’attacco alla città di Rafah, dove risiede ormai la maggior parte della popolazione della Striscia di Gaza, con tantissimi sfollati. Tel Aviv ha più volte ribadito che l’operazione militare si sarebbe tenuta a ogni costo e che la questione non è trattabile. Nonostante gli appelli preoccupati delle Nazioni Unite e delle organizzazioni internazionali.
Questa mattina l’UNRWA, che ha fatto sapere che non abbandonerà la città, ha nuovamente dichiarato che “Un’offensiva israeliana a Rafah significherebbe più sofferenze e morti civili. Le conseguenze sarebbero devastanti”.
Parte della popolazione è in fuga, spaventata per ciò che potrà avvenire, per la violenza degli attacchi. Molte delle persone che stanno lasciando Rafah sono sfollati che hanno già più volte abbandonato le proprie abitazioni o i propri rifugi su ordine dell’esercito israeliano. Sono già 100.000, secondo i dati dei militari, i palestinesi evacuati. Purtroppo a Gaza, come da mesi ripetono le associazioni internazionali e le Nazioni Unite, non esistono posti sicuri. La fame è a livelli altissimi, il sistema sanitario è collassato, la distruzione è estrema e sarà del tutto impossibile, in queste condizioni, gestire lo spostamento massiccio della popolazione.
Israele ha fatto sapere di aver portato dentro la Striscia circa 40.000 tende che possono contenere 12 persone ciascuna, in previsione dello sfollamento iniziale di circa 480.000 palestinesi di Rafah, cosa che servirebbe solo a ridurre l’alta densità abitativa attuale: 1,4 milioni di persone sono attualmente nella città su una popolazione di circa 2,3 milioni.
L’esercito israeliano sta lanciando sulle teste degli abitanti delle zone orientali migliaia di volantini in cui ordina di spostarsi ad al-Mawasi. “A tutti i residenti e a coloro che attualmente si rifugiano nel campo di Rafah, nel campo del Brasile e nei quartieri di Al-Shabura e Al-Zohour. Rimanere in queste aree mette in pericolo la tua vita” recitano i foglietti, avvertendo che i militari stanno “per operare con estrema forza”.
La portavoce del Consiglio norvegese per i rifugiati, Samah Hadid, ha dichiarato ad Al-Jazeera che “un’offensiva militare a Rafah causerebbe atrocità di massa, morti di civili in massa”. Ha aggiunto: “In questo momento, abbiamo bisogno che ogni alleato del governo israeliano, incluso il governo degli Stati Uniti, aumenti la sua pressione, fermi le vendite di armi, metta sotto pressione Israele per porre fine a questa offensiva che porterebbe a atrocità di massa”.
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