di Michele Giorgio*
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Pagine Esteri, 27 agosto 2024 – Abu Bashar non lascia spazio a dubbi mentre ci spiega il significato profondo che Haram Sharif (la Spianata della Moschee) con Al Aqsa e la Cupola della Roccia hanno per l’Islam e per tutti i musulmani nel mondo, non solo quelli palestinesi. «Al Aqsa non si tocca, nessun può minacciarla Haram Sharif è sacra», ci dice. Ci invita a raggiungerlo alla finestra di casa nel quartiere di Abu Tor. «Eccola» esclama, indicando con il dito la cupola dorata della moschea della Roccia. «Per proteggerla siamo disposti a morire e Ben Gvir lo sa bene, per questo ci provoca, vuole incendiare Gerusalemme», ribadisce il palestinese.
Abu Bashar è credente, ma non particolarmente osservante, rappresenta tanti altri palestinesi. La Spianata delle Moschee però sarebbe disposto a difenderla a costo della vita perché è qualcosa che per lui va oltre la religione, è parte dell’identità nazionale palestinese. Per questo quando ieri il ministro israeliano della Sicurezza nazionale e leader dell’estrema destra religiosa, Itamar Ben Gvir, parlando alla radio dell’Esercito, ha affermato che permetterà anche agli ebrei di pregare sulla Spianata delle Moschee e darà appoggio all’ipotesi della costruzione una sinagoga sul sito religioso, c’è stata una raffica di reazioni. Hamas ha invitato i palestinesi a intensificare la lotta contro Israele. Per l’Autorità nazionale palestinese del presidente Abu Mazen le parole del ministro israeliano equivalgono a un appello esplicito affinché Al Aqsa venga rasa al suolo e sostituita con un luogo di culto ebraico.
Ben Gvir punta a scardinare lo status quo per i luoghi santi di Gerusalemme deciso dopo l’occupazione israeliana della zona araba della città nel 1967. Da allora sulla Spianata, sotto la custodia della Giordania, pregano i musulmani, al Kotel (Muro del Pianto) gli ebrei e al Santo Sepolcro i cristiani. Il ministro della Sicurezza spiega che la Spianata, essendo il luogo dove, secondo la tradizione religiosa, sorgeva il Tempio distrutto nel 70 dc, deve essere aperta alla preghiera dei fedeli ebrei. Aggiunge che i musulmani «sono liberi» di pregare al Kotel, ma non è così lineare e tranquillo. In realtà sa bene che, se centinaia o migliaia di musulmani, muniti di tappetini da preghiera, andassero al Muro del Pianto questo scatenerebbe le reazioni dei fedeli ebrei. Lo status quo è fondamentale per i luoghi santi di Gerusalemme e Ben Gvir non vuole abbatterlo per motivi religiosi come afferma, bensì per motivi politici, per proclamare la totale sovranità di Israele sulla città, anche sulla Spianata delle Moschee terzo luogo santo dell’Islam. Peraltro, da un punto religioso ortodosso gli ebrei non possono nemmeno entrare nel luogo sacro. A metà agosto cinque importanti rabbini di Gerusalemme – Yitzhak Yosef, Avigdor Nebenzahl, Shmuel Betzalel, Simcha Rabinowitz e David Cohen – hanno ribadito pubblicamente la tradizionale sentenza contro la preghiera ebraica sulla Spianata delle moschee.
La «Jihad Ebraica», come la definisce un editoriale del giornale Haaretz, guidata da Ben Gvir ha anche altri obiettivi. Dando una spinta al messianismo ebraico e lanciando provocazioni a Gerusalemme (e non solo), il ministro mette sotto pressione l’alleato Benyamin Netanyahu e prova a strappare a suo vantaggio i consensi di settori oggi a sostegno al primo ministro. «Ben Gvir è mosso dal fanatismo religioso e forse pensa di poter passare alla storia riuscendo a togliere la Spianata ai musulmani a beneficio degli ebrei, però guarda anche a obiettivi più immediati» spiega al manifesto, l’analista Michael Warshansky, esperto di destra religiosa. «È come se si sentisse già in campagna elettorale – aggiunge – e rappresentando un Netanyahu debole di fronte agli arabi e agli Stati uniti, poco interessato al Monte del Tempio e disposto ad andare a un cessate il fuoco con Hamas, pensa di poter strappare al premier una parte dei suoi sostenitori così rendere ancora più forte e influente il suo partito, Potere Ebraico. Le sue aspirazioni sono smisurate».
Per il momento è riuscito a scatenare attacchi da ogni parte contro Netanyahu, secondo il quale lo status quo sul Monte del Tempio non è cambiato. La destra estrema accusa il premier di «indecisione e debolezza». L’opposizione di «aver perduto il controllo di Ben Gvir», una «mina vagante» che mette in difficoltà Israele di fronte agli alleati occidentali e arabi. «L’intera regione vede la debolezza di Netanyahu di fronte a Ben Gvir», ha detto Yair Lapid, il capo di Yesh Atid, il principale partito di opposizione. Netanyahu, scriveva giorni fa il giornale Maariv, non esclude più la possibilità di restare a capo di governo di minoranza fino alle elezioni, quindi di liberarsi dell’estrema destra, un alleato ingombrante. «Non ci credo» dice Michael Warshansky «Netanyahu ha bisogno ancora di Ben Gvir e del resto dell’estrema destra, per lui questa alleanza è la migliore garanzia per rimanere al potere». Pagine Esteri
*Questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto
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