di Michele Giorgio

(foto Wafa)

Pagine Esteri, 20 marzo 2024La nomina fatta la scorsa settimana da Abu Mazen dell’economista Mohammed Mustafa a nuovo premier dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) e la reazione furibonda di Hamas, spiegano l’inconsistenza del recente incontro a Mosca tra i rappresentanti di Fatah, il partito del presidente, e quelli del movimento islamico, che pure era stato descritto come volto a porre le basi di un esecutivo di consenso nazionale di fronte all’offensiva israeliana che ha devastato Gaza. Neppure le decine di migliaia di palestinesi uccisi dai bombardamenti israeliani hanno rimarginato la ferita dell’estate del 2007, quando Hamas prese il potere a Gaza rispondendo con la forza delle armi a chi, sotto la pressione di Stati uniti e Israele, aveva fatto il possibile per rendere nulla la vittoria elettorale ottenuta dagli islamisti l’anno prima.

Hamas condanna la designazione «unilaterale» di Mohammed Mustafa. «Formare un nuovo governo senza consenso nazionale non fa altro che rafforzare una politica di unilateralismo e approfondire la divisione», ha scritto in un comunicato. I vertici di Fatah replicano che anche Hamas fa mosse «unilaterali», come quella del 7 ottobre quando ha lanciato un ampio attacco armato contro Israele senza consultare le altre formazioni palestinesi gettando, affermano, «la Palestina in una situazione simile se non peggiore di quella della Nakba». Frasi in seguito bocciate da vari dirigenti di Fatah che le considerano una posizione dell’Anp e non del partito «schierato con la resistenza».

Anche l’indipendente Hanan Ashrawi, storica portavoce palestinese, ha criticato la scelta di Abu Mazen di procedere alla nomina del nuovo premier incaricato senza tenere conto della richiesta di unità nazionale che giunge dall’intera popolazione palestinese.

Ciò che preme più di tutto ad Hamas è denunciare come «delirante» il tentativo di escluderlo dalla scena politica al termine dell’offensiva israeliana a Gaza. La scelta di Mohammed Mustafa va in quella direzione. Abu Mazen e il suo entourage, ci spiega una fonte a Ramallah, sono convinti che il governo Netanyahu presto o tardi per mancanza di alternative praticabili e per le pressioni americane revocherà il veto al ritorno dell’Anp a Gaza – il ministro della Difesa Gallant ha aperto la porta a questa soluzione – e che sarà il governo di Ramallah, con l’inclusione di qualche ministro tecnico, a gestire la ricostruzione ed amministrare gli oltre due milioni di abitanti della Striscia.

Tuttavia Mustafa potrebbe non essere la persona giusta per dare vita alla cosiddetta «Anp riformata, rigenerata» che l’Amministrazione Biden vuole come alleata di Israele. Figura grigia, il premier incaricato è da sempre un uomo di Abu Mazen. Per conto dell’Anp ha realizzato progetti con aziende private palestinesi e straniere ed è stato a capo del Fondo nazionale della Palestina. Fatah non lo boicotterà, ma non è felice della sua scelta che mette il partito in secondo piano nel momento in cui sente di poter tornare in qualche modo protagonista nell’arena politica,  approfittando dell’indebolimento di Hamas a Gaza (in Cisgiordania invece il movimento islamico gode di consensi crescenti).

Con l’appoggio del capo dell’intelligence, Majid Faraj, e il segretario generale dell’Olp, Hussein al Sheikh, Mustafa cercherà di mettere insieme un esecutivo con nomi che dovranno andar bene prima di tutto agli Stati uniti. E sa che la sopravvivenza del suo governo – in particolare quella finanziaria – dipenderà da Israele che non rinuncerà alle misure punitive che ha usato contro il suo predecessore Mohammed Shttayeh. Netanyahu da parte sua insiste nel promuovere al futuro governo di Gaza esponenti di clan familiari. Chi siano queste persone nessuno lo sa. Hamas ha già avvertito che coloro che favoriranno i progetti di Israele saranno considerati dei «collaborazionisti» e «traditori».

Di Gaza si interessano persino alcuni neocons statunitensi che 21 anni fa furono artefici dell’invasione e dell’occupazione americana dell’Iraq. Gente come Elliot Abrams, uno degli autori del piano presentato nei giorni scorsi dal Jinsa (Istituto ebraico per gli affari di sicurezza nazionale) e dalla Coalizione Vandenberg. Il progetto prevede la creazione a Gaza di un ente privato, l’International Trust for Gaza Relief, che sarà guidato da Arabia saudita, Egitto ed Emirati e sostenuto dagli Usa e da altre nazioni. L’Anp svolgerebbe solo funzioni secondarie in appoggio a Israele che manterrebbe il diritto di entrare e uscire da Gaza a suo piacimento per combattere Hamas e Jihad islami, avvalendosi anche dell’aiuto di mercenari occidentali. Pagine Esteri

Questo articolo è stato pubblicato in origine sul quotidiano Il Manifesto

 

 

 






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