di Geraldina Colotti –
Pagine Esteri, 1 giugno 2024. Comunque vada alle elezioni del 2 giugno, il Messico avrà per la prima volta una donna alla presidenza. A contendersi la guida del paese, sono infatti principalmente due candidate: Claudia Sheinbaum, ampiamente favorita nei sondaggi che guida la coalizione “Sigamos Haciendo Historia”, Continuiamo a fare la storia; e Xóchitl Gálvez, di “Fuerza y Corazón por México”, Forza e cuore per il Messico, che riunisce i vecchi partiti: Pri, Pan, Prd. Un terzo candidato, Jorge Álvarez Máynez corre per il “Movimiento Ciudadano”.
Quasi 99 milioni di persone si recheranno alle urne per eleggere, oltre al presidente o alla presidente, più di 20.000 candidati a livello locale, statale e del Congresso. Si rinnoveranno 128 seggi al Senato e 500 deputati. Nove Stati eleggeranno dei nuovi governatori, si sceglieranno 1.098 deputati locali in 31 congressi statali e si voterà per 1.803 municipi.
In base alla costituzione, il presidente uscente, Manuel Lópes Obrador (Amlo), che termina il mandato con un altissimo livello di popolarità (è gradito ai due terzi della popolazione), non può ripresentarsi. E ha fortemente appoggiato Sheinbaum, a sua volta proveniente dal partito Morena (Movimiento de Regeneración Nacional), confidando che possa continuare il processo di cambiamento innescato dalla IV Trasformazione (4T).
Un progetto che ha visibilmente cambiato il volto del paese, creando una discontinuità sostanziale con il sistema di potere tradizionale, che sembrava impossibile da scalzare.
I risultati sono visibili a livello economico, sociale e culturale, e anche a livello della formazione politica dei militanti e delle militanti, cresciuti alla scuola di un pragmatismo dinamico, ma non privo di orizzonte ideale. Coniugando con realismo la questione sociale a quella dell’indipendenza nazionale, e regionale, Amlo ha volto immediatamente lo sguardo a sud, difendendo Cuba, il Venezuela e Nicaragua: tenendo conto (per esempio sui temi dei migranti) del famoso detto “povero Messico, così lontano dal cielo e così vicino agli Stati uniti”, ma anche cercando di sfatarlo. Infatti, ha appoggiato l’integrazione latinoamericana, si è opposto ai “golpe istituzionali” nel continente, e ha fortemente sostenuto la libertà del popolo palestinese contro il regime sionista, nel disegno di un mondo multicentrico e multipolare.
Un progetto solido, orientato a un progressismo conseguente, capace di rimettere in campo anche riforme di struttura a favore dei settori popolari. Capace, per questo, di contrastare i numerosi attacchi dell’estrema destra, ben foraggiati dai grandi media, dalle corporazioni giudiziarie, e dai think tanks di Washington, decisi a replicare anche in Messico (dove hanno organizzato vari convegni internazionali), l’onda nera che va per la maggiore. Ma senza successo.
In Messico, non è “spuntato” un Milei. I settori popolari, pur con tutto il cammino ancora da compiere nel gigante atzeco e pur con tutte le contraddizioni, non si sono trovati privi di una rappresentanza a sinistra, e non hanno deviato verso false bandiere. Anzi, la paura che un aumento di consenso dei candidati di opposizione porti allo stallo delle riforme per mancanza di numeri in parlamento, è chiaramente emersa nel corso della campagna elettorale.
Sono in gioco due modelli diversi di paese: da un lato, il ritorno al neoliberismo, rappresentato da Xóchitl y Máynez, dall’altro l’umanesimo messicano di Obrador, che in questi anni ha funzionato perché ha intaccato le cause strutturali delle ingiustizie sociali, e che Sheinbaum promette di proseguire. Gli indicatori mostrano una riduzione della povertà dal 41.9% nel 2018 al 36.3% en 2022, il che significa l’aver emancipato dalla povertà oltre 5,1 milioni di persone, sia nelle regioni ricche che in quelle emarginate del sud.
Nel campo avverso, sia a livello nazionale che internazionale, sono in molti a sperare che la sessantunenne fisica, vincitrice di un Nobel in collettivo per gli studi sul clima, e che ha guidato il governo di Città del Messico, nipote di ebrei perseguitati dal nazismo e fuggiti in Europa, segua le orme di altri “delfini” dei presidenti uscenti che, in America Latina, hanno virato a destra, distruggendo il precedente cammino.
Sheinbaum, pur mantenendo un profilo autonomo, ha promesso di proseguire l’agenda di Amlo, consolidando i progetti di infrastruttura e mantenendo le misure di welfare, come i sussidi all’elettricità, di cui hanno beneficiato milioni di messicani. “Per il bene del Messico, primo le donne povere”, ha detto la candidata di Morena, ricordando i risultati ottenuti dalla sua gestione a Città del Messico: riduzione del 49% del numero di donne a rischio di violenza, e anche del 30% dei femminicidi, vera e propria piaga del paese, con adeguate politiche di prevenzione; costruzione di tre nuove università, borse di studio, programmi di transizione ecologica e trasparenza nei fondi pubblici.
Uno dei principali temi della campagna elettorale è stato, con diversi approcci, quello della violenza dei cartelli criminali che ha caratterizzato anche questa tornata, durante la quale molti candidati sindaci sono stati assassinati. Lo slogan della sinistra è stato: “Abrazos, no Balazos” (Abbracci, non pallottole), agli antipodi da quello che piace alle destre e che si richiama alla repressione di Bukele in Salvador o a quella di Milei in Argentina, e che punta, invece, a offrire ai giovani maggiori opportunità di lavoro e formazione.
Alla nuova presidente toccherà anche il compito di nominare un nuovo giudice della Corte Suprema. In caso di vittoria di Sheinbaum, si spera venga eletto un progressista, per bilanciare il braccio di ferro che si è dato finora. Ma, intanto, le destre latinoamericane e i loro alleati europei, che hanno cercato di truccare visibilmente i sondaggi a favore della candidata di Morena, sperano che la sua coalizione non abbia una maggioranza solida in parlamento, per provare a zavorrare le riforme, come si è visto in Brasile e come si sta vedendo in Colombia contro il governo di Gustavo Petro. Pagine Esteri
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