Pagine Esteri – Alla fine, dopo una iniziale smentita, anche il governo della Repubblica Democratica del Congo ha dovuto confermare la conquista di Bukavu, capoluogo del Sud Kivu e seconda città più popolosa delle regioni orientali del paese, da parte dei ribelli del “Movimento 23 Marzo” supportati dalle truppe del Ruanda. 

Le truppe congolesi e quelle alleate del Burundi si sono ritirate dalla città per evitare di combattere in aree densamente popolate, creando un vuoto di potere che ha dato origine a saccheggi e a un’evasione dalle prigioni.

«Il Ruanda persiste nel suo piano di occupazione, saccheggio ed esecuzione di crimini e gravi violazioni dei diritti umani sul nostro territorio. Il governo (…) invita la popolazione di Bukavu a restare a casa e a non esporsi per evitare di essere presa di mira dalle forze occupanti. Bukavu, Goma e tutti gli altri angoli occupati del Nord Kivu e del Sud Kivu costituiscono il simbolo della nostra resistenza. Restiamo tutti in piedi, vigili, resilienti e uniti di fronte a questa prova, accanto alle nostre forze armate e al presidente della Repubblica, comandante supremo» ha scritto in una dichiarazione l’esecutivo di Kinshasa che appare però sempre più in difficoltà di fronte all’avanzata delle milizie dell’M23.

L’M23 accelera
Subito dopo la conquista di Goma, che era costata la vita a circa 3000 persone, i ribelli filo-ruandesi avevano dichiarato un cessate il fuoco unilaterale a partire dal 4 febbraio, spiegando che non era loro intenzione conquistare altri territori fino ad occupare la capitale congolese come invece aveva affermato solo pochi giorni prima il leader della coalizione di gruppi ribelli guidata dall’M23.
Il governo di Kinshasa aveva risposto di non credere nella sospensione alle promesse del gruppo armato, che infatti già all’alba del 5 febbraio ha scatenato una nuova offensiva contro le Forze Armate congolesi e le truppe del Burundi proprio nella provincia del Sud Kivu.

Nel frattempo, però, la dichiarazione di cessate il fuoco dell’M23 è servita al presidente del Malawi, Lazarus Chakwera, per ordinare il ritiro del proprio contingente militare dalla “Missione della Comunità per lo Sviluppo dell’Africa australe” (Samidrc), dispiegata in Congo per contribuire a contrastare i gruppi armati. In una dichiarazione, il capo di stato malawiano ha spiegato che la decisione di ritirare i peacekeepers “spianerà la strada ai negoziati pianificati per una pace duratura”, cosa che ovviamente non è avvenuta.
Finora almeno 20 militari della Missione Samidrc, tra cui 14 sudafricani e 3 malawiani, sono rimasti uccisi nei combattimenti con i miliziani dell’M23. Anche un soldato del contingente di pace dell’Uruguay ha perso la vita negli scontri.
Contrariamente a quello del Malawi, però, il presidente della Repubblica Sudafricana Cyril Ramaphosa ha confermato la presenza del proprio contingente a difesa della stabilità del Congo, diventando oggetto di dichiarazioni molto aggressive da parte dell’autocrate che governa il Ruanda, Paul Kagame.

Il governo e la popolazione congolese chiedono di isolare il Ruanda
Da parte sua il presidente congolese Felix Tshisekedi ha rinnovato gli appelli alla comunità internazionale e in particolare ai paesi europei affinché isolino e applichino sanzioni al Ruanda, il cui regime sostiene finanziariamente, politicamente e militarmente le milizie dell’M23. In cambio, i ribelli trasportano illegalmente in Ruanda metalli preziosi, minerali rari e diamanti estratti nei territori congolesi occupati, che le aziende e il regime di Kigali esportano in occidente foraggiando così una delle economie più fiorenti dell’Africa.
La ministra degli Esteri congolese Therese Kayikwamba Wagner si è recata a Bruxelles, nel tentativo di convincere l’Unione Europea ad adottare sanzioni nei confronti del Ruanda, finora senza risultati.

Nel paese africano intanto grandi manifestazioni continuano a denunciare il sostegno di numerosi paesi occidentali al Ruanda e a chiedere l’interruzione dei rapporti commerciali con Kigali per costringerla a interrompere il sostegno ai ribelli.

In particolare si chiede a gran voce lo stop al memorandum d’intesa firmato esattamente un anno fa da Bruxelles con il Ruanda che regolamenta l’importazione di terre rare da un paese che di fatto non ne possiede e che vende ai propri partner economici – non è un segreto – quelle sottratte illegalmente nelle regioni orientali del Congo. Come se non bastasse, il memorandum stanzia anche fondi per aiutare il Ruanda a creare infrastrutture per la raffinazione dei minerali preziosi (coltan, tungsteno, stagno, oro, niobio, titanio) oltre a prevedere la condivisione con Kigali di conoscenze e di tecnologie estrattive e di trasformazione di ultima generazione e la collaborazione per formare il personale locale.

Il Parlamento Europeo contro gli accordi tra UE e Ruanda
Anche se l’accordo è ufficialmente diretto a vincolare il Ruanda alla “tracciabilità” dei minerali preziosi esportati e alla “lotta contro il traffico illegale di materie prime”, ignora il fatto che Kigali vende risorse non sue, sottratte dai gruppi armati che finanzia e che hanno lanciato l’offensiva che ha portato alla conquista di Goma e ora di Bukavu proprio per assicurarsi il controllo delle zone dove sono concentrati i giacimenti più appetibili, finora sfruttati in gran parte da aziende cinesi. Secondo varie stime, infatti, il Nord e il Sud Kivu ospitano l’80% delle riserve mondiali di coltan e circa il 38% di quelle di terre rare.

È anche in seguito a questa mobilitazione che giovedì scorso il Parlamento Europeo ha approvato a larga maggioranza – ma finora senza effetti – una risoluzione in cui invita la Commissione e il Consiglio europeo a sospendere immediatamente il memorandum d’intesa finché il Paese non cesserà ogni interferenza nel conflitto. Nel documento, gli eurodeputati hanno chiesto inoltre alla Commissione, agli Stati membri dell’Ue e alle istituzioni finanziarie internazionali di congelare il sostegno economico diretto al Ruanda finché non consentirà l’accesso umanitario all’area di crisi e interromperà tutti i legami con l’M23. «La Commissione e i Paesi dell’Ue dovrebbero anche interrompere la loro assistenza militare e di sicurezza alle forze armate ruandesi per impedire loro di contribuire direttamente o indirettamente a operazioni militari abusive nella Rdc orientale», si legge nella dichiarazione. Il riferimento è soprattutto ai fondi stanziati dall’Unione Europea, su iniziativa del governo francese, che finanziano una missione militare ruandese schierata a protezione di un impianto della multinazionale petrolifera transalpina Total che sfrutta un giacimento di idrocarburi nell’area di Cabo Delgado, in Mozambico.
La risoluzione chiede inoltre l’annullamento dei Campionati Mondiali di Ciclismo su strada, previsti in Ruanda il prossimo settembre.

Emergenza umanitaria
Nel testo gli eurodeputati si sono detti estremamente preoccupati per la situazione umanitaria critica nel Paese e chiedono la riapertura immediata dell’aeroporto di Goma e la creazione di corridoi umanitari per ripristinare le operazioni umanitarie nelle regioni orientali del Congo.

L’emergenza umanitaria è ulteriormente aggravata dalla sospensione degli aiuti da parte degli Stati Uniti dopo la decisione dell’amministrazione Trump di bloccare l’attività dell’agenzia Usaid. Lo scorso anno, infatti, le operazioni umanitarie realizzate nella RdC erano state finanziate al 70% proprio da Washington con un esborso di 900 milioni di dollari, ha ricordato il coordinatore delle Nazioni Unite nel paese africano, Bruno Lemarquis.

Nelle zone occupate dall’M23 e dai militari ruandesi il prezzo dei beni alimentari di prima necessità ha subito un’impennata anche del 160%, ha denunciato l’ong ActionAid, a causa del blocco delle strade con le regioni circostanti e dalla conseguente penuria di rifornimenti.

Secondo il Programma alimentare mondiale (Pam), se la situazione nella zona non evolverà, nei prossimi cinque mesi 4,5 milioni di bambini sotto i cinque anni e 3,7 milioni di donne incinte e in allattamento saranno a rischio di malnutrizione acuta. Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria

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