di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 3 ottobre 2024 – Le unità dell’esercito del Mozambico incaricate di proteggere un impianto per la produzione di gas naturale liquefatto, di proprietà di un consorzio guidato dalla compagnia petrolifera francese TotalEnergies nel nord del paese africano, hanno compiuto atrocità, torture e omicidi ai danni della popolazione locale.

A denunciarlo è stato nei giorni scorsi il quotidiano statunitense “Politico” secondo il quale, nell’estate del 2021, molte decine di persone sono state massacrate dai militari mozambicani incaricati di proteggere lo stabilimento della penisola di Afungi, la cui realizzazione è ormai bloccata da tre anni, dagli attacchi delle milizie fondamentaliste aderenti allo Stato Islamico.

I soldati dell’ex colonia portoghese si sono scatenati contro centinaia di civili accusati di far parte o di sostenere il gruppo terroristico. Secondo la ricostruzione di “Politico”, che ha intervistato tredici dei 26 sopravvissuti, un operaio e vari abitanti dei villaggi della regione di Cabo Delgado, le vittime sono state rinchiuse per quasi tre mesi all’interno di alcuni container metallici senza finestre piazzati all’ingresso del sito e sottoposti ad efferate violenze. Le torture hanno causato la morte della maggior parte dei prigionieri.

Subito dopo la pubblicazione dell’inchiesta, il direttore generale della sussidiaria di Total nel paese, la Mozambique Lng, ha scritto al quotidiano negando ogni responsabilità. Per Maxime Rabilloud non esisterebbe alcuna evidenza del fatto che i crimini di guerra elencati nel reportage si siano mai realmente verificati e comunque la sua impresa non sarebbe a conoscenza delle “presunte” violenze perché nel 2021 il cantiere sarebbe già stato abbandonato dal personale della compagnia petrolifera, affidato interamente alla protezione garantita dai militari di Maputo e da alcuni gruppi di paramilitari anch’essi alle dipendenze dell’esercito mozambicano.

Secondo la versione fornita da Rabilloud, gli operai e i funzionari della compagnia sarebbero stati tutti evacuati dal sito nel marzo del 2021, subito dopo un’offensiva delle milizie di al-Shabaab – che nel paese opera dal 2017 con il nome di “Ahlu Sunna Wal Jammah” – contro la vicina città di Palma.
Però i 700 tra militari e paramilitari incaricati, a rotazione, a proteggere gli impianti, erano pagati, riforniti di cibo ed assistiti logisticamente dalla Total.

Dopo l’inizio dei combattimenti tra le forze governative e i miliziani di al-Shabaab, ai residenti dei villaggi della zona i militari suggerirono di lasciare le loro case e di rifugiarsi in un una postazione fortificata vicino all’ingresso principale del sito della Total. Invece di ricevere protezione, però, gli abitanti sono stati sottoposti a gravissime violenze. Non solo tutti gli uomini – circa 200 – sono stati accusati dai soldati di essere complici degli islamisti, ma molte donne sono state violentate. Secondo i testimoni alcuni civili sono stati subito giustiziati o pestati a morte mentre gli altri prigionieri sono stati privati di acqua e cibo, soffocati, accoltellati e sottoposti a percosse e ad altre violenze fino alla morte.

I pochi sopravvissuti sono stati liberati nel settembre del 2021 dai soldati del Ruanda, dispiegati nella zona nell’ambito di una missione multinazionale di supporto al Mozambico contro l’insorgenza islamista decisa dopo un accordo siglato grazie all’intervento del governo francese. La vicenda sarebbe rimasta a lungo nell’ombra perché a sopravvissuti e testimoni sarebbe stato imposto il silenzio, pena rappresaglie.

Già nel 2021 l’associazione Amnesty International aveva accusato le forze di sicurezza del Mozambico di violenze e crimini di guerra. Anche se ora la direzione dell’impresa cade dalle nuvole, in un rapporto commissionato dalla Total lo scorso anno sulla situazione nella regione di Cabo Delgado, l’autore del rapporto – Jean-Cristophe Rufin – aveva espresso numerose riserve sull’accordo raggiunto dalla società petrolifera con l’esercito locale. L’estensore del rapporto aveva addirittura consigliato esplicitamente di interrompere ogni relazione con l’esercito di Maputo segnalando la possibilità che l’impresa potesse essere chiamata in causa per gli abusi da esso compiuti e considerata “parte in causa” nel conflitto in corso.

Altri rapporti simili, in precedenza, riportavano il sospetto che i membri delle unità militari poste a protezione del cantiere si fossero macchiate di abusi, uccisioni sommarie ed estorsioni nei confronti della popolazione locale.

Alcuni testimoni avrebbero ora raccontato ad Alex Petty, il giornalista di “Politico” autore del reportage, che «gli appaltatori bianchi che lavoravano nel sito hanno visitato i container diverse volte, cercando anche, senza successo, di fornire ai prigionieri acqua e cibo».

Anche se nella regione di Cabo Delgado gli attacchi dell’insorgenza islamista continuano, la TotalEnergies starebbe pensando di completare l’impianto nella penisola di Afungi nel quale liquefare il gas estratto in due diversi giacimenti. La Total, che detiene il 26,5% delle quote del consorzio, nel 2019 ha acquisito gli asset africani della società petrolifera Anadarko, assorbita dalla Occident Petroleum.

La multinazionale francese si avvale della collaborazione del gruppo italiano Saipem, che a sua volta tra i suoi azionisti annovera ENI e Cassa Depositi e Prestiti. Secondo l’associazione “ReCommon”, il progetto dovrebbe essere supportato anche dalla garanzia emessa dall’assicuratore pubblico italiano Sace per un totale di 950 milioni di euro.

Nella stessa regione opera anche la multinazionale statunitense ExxonMobil, che gestisce un consorzio per la produzione di gas naturale nel bacino di Rovuma guidato dalla Mozambique Rovuma Venture (Mrv) con il supporto dell’italiana Eni e della cinese Cnpc. Secondo alcune indiscrezioni, l’impresa sarebbe decisa a completare l’impianto entro un anno.

Nel 2022, a decine di anni di distanza dai fatti, la ExxonMobil è stata condannata a comparire in giudizio negli Stati Uniti in un caso intentato da 11 abitanti di un villaggio indonesiano per omicidio, stupro e tortura perpetrati da soldati pagati dalla multinazionale per sorvegliare un giacimento di gas. Ora i sopravvissuti al massacro di Afungi sperano che si arrivi almeno al processo contro i propri aguzzini, che allo stato non sono stati neanche ancora individuati. Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria






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