di Eliana Riva – 

Pagine Esteri, 25 settembre 2024. “Siamo noi israeliani disposti a vivere nell’unico Paese al mondo la cui esistenza si basa sul sangue?”. Gideon Levy, dalle pagine del quotidiano Haaretz lo chiede a se stesso e ai suoi concittadini. Il giornalista israeliano si rivolge a un Paese che non discute di nessuna altra possibilità che non sia la guerra, perché “nessun’altra proposta è sul tavolo”.

Più di 600 persone sono state uccise dai bombardamenti israeliani in Libano da lunedì 23 settembre. Mercoledì, per la prima volta, Hezbollah ha lanciato un missile su Tel Aviv, nel centro del Paese. Il gruppo sciita ha fatto sapere che il lancio del missile Qader 1 contro il quartier generale del Mossad è stato una risposta all’omicidio dei suoi comandanti durante “l’attacco dei cercapersone”. La Casa Bianca si è detta molto preoccupata per l’attacco a Tel Aviv, che non ha fatto vittime né feriti. Il bilancio provvisorio dei morti libanesi è salito invece, al momento, a 610, tra i quali almeno 50 bambini. Due persone risultano ferite nel nord di Israele a causa dei missili lanciati da Hezbollah.

Le forze armate israeliane hanno dichiarato di aver colpito oggi più di 280 “obiettivi” nel sud e nella Valle della Bekaa, tra i quali ci sarebbero 60 siti di intelligence. Il maggiore generale israeliano Ori Gordin, capo del Comando del nord, ha dichiarato che lo scontro con Hezbollah è entrato in una nuova fase e che l’esercito deve essere pronto e preparato per una “manovra di terra”. Il militare ritiene che gli attacchi israeliani hanno ridotto le capacità del gruppo libanese e che ora Tel Aviv potrà procedere a un nuovo tipo di “azione”. Due nuove armate israeliane di riservisti si stanno spostando verso il confine con il Libano.

Intanto continua senza sosta l’esodo dei libanesi del sud verso Beirut e altre zone a nord e nel centro del Paese. Gli sfollati raccontano di aver lasciato ogni cosa per fuggire e le immagini delle strade completamente bloccate dal flusso di automobili dimostrano i timori della popolazione, gran pare della quale ora conta soprattutto sull’assistenza pubblica di un Paese messo in ginocchio da una gravissima crisi economica. Le associazioni e i gruppi informali stanno assumendo un’importanza fondamentale man mano che l’emergenza si va allargando. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni ha fatto sapere che almeno 90.530 persone sono attualmente sfollate in Libano a causa degli attacchi israeliani. Di queste circa 40.000 hanno trovato rifugio in 283 siti messi a disposizione allo scopo. Alcuni di questi sono scuole convertite in ricoveri. Nelle prime ore di mercoledì 25 settembre i militari hanno diffuso un messaggio in arabo per intimare ai libanesi sfollati di non provare a tornare nelle proprie case “fino a nuovo avviso” perché i bombardamenti non sono terminati. Secondo il Times of Israel, nonostante le esplosioni dei dispositivi elettronici e gli attacchi mirati israeliani, Hezbollah mantiene una catena di comando flessibile e una vasta rete di tunnel dove conserva il suo ancora vasto arsenale di missili e di armi. Queste caratteristiche, secondo la rivista israeliana lo stanno “aiutando a resistere agli attacchi israeliani senza precedenti”.

Tra la tarda serata di martedì 24 e la mattinata di mercoledì, diversi droni sono stati lanciati dai gruppi che in Iraq fanno parte dell’”asse della resistenza”. Alcuni di questi sarebbero caduti in aree aperte, senza causare feriti.

La guerra non risparmia neanche Beirut, che ieri è stata colpita con un attacco aereo che ha ucciso il comandante Hezbollah responsabile di missili e razzi, Kobeisy e, insieme a lui, almeno altre sei persone. I bombardamenti a sud hanno ucciso il cameraman Al-Manar Kamel Karaki. Con Hai al-Sayed, di Al Mayadeen, ucciso lunedì da un raid israeliano, sono 7 i reporter assassinati in Libano dal 7 ottobre.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha convocato il gabinetto di sicurezza per questa sera alle 20:00. In seguito all’incontro durante la notte o, al più tardi, entro la mattinata di giovedì, partirà per New York,  dove venerdì parlerà all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Dal pulpito ONU difenderà, questa volta, non solo gli attacchi a Gaza, che hanno fatto circa 41.500 vittime, ma quelli al Libano, confermando con ogni probabilità la sensazione di Gideon Levy: non si parlerà di altra possibilità che non sia la guerra. Pagine Esteri

 






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