di Franco Ferioli – 

In copertina: Smara, campo profughi saharawi, Algeria – ph. Franco Ferioli

Pagine Esteri, 15 ottobre 2024. Con una sentenza definitiva, dopo che nel 2021 era stata emessa una sentenza di primo grado dello stesso tenore alla quale la Ue aveva presentato ricorso, il 4 ottobre 2024 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha nuovamente bocciato l’illegittimità degli accordi commerciali tra UE e Marocco per i prodotti di origine saharawi.

È una condanna alla politica di sfruttamento delle risorse ittiche e agricole dei territori del Sahara Occidentale in violazione dei diritti di autodeterminazione del popolo saharawi.

La sentenza riconosce il Fronte Po.li.sa.ri.o, Fronte Popolare di Liberazione del Saguia el Hamra e Rio de Oro, rappresentante del movimento indipendentista saharawi, come persona giuridica legittimata a contestare gli accordi commerciali tra l’unione Europea e il Marocco del 2019 sulla pesca e sull’agricoltura, poiché queste attività si svolgono nel territorio del Sahara Occidentale occupato dal Marocco.

Ben noto ai navigatori dell’antichità e del Medioevo, il patrimonio ittico delle coste sahariane attira nelle sue acque una incredibile quantità di navi da pesca battenti le più diverse bandiere: francese, spagnola, inglese, russa, giapponese, polacca, coreana, yugoslava, argentina, brasiliana, scandinava, canadese, greca, italiana, portoghese, israeliana.

L’estensione del banco di pesca sahariano è stata valutata in circa 15.000 chilometri quadrati, con una produzione annua di 10 tonnellate per chilometro quadrato, costituita da 190 specie diverse di pesce, da 70 tipi di molluschi e da 14 tipi di crostacei.

Un peschereccio può pescare fino a 400 kg al giorno di sardine, dentici, orate, triglie, saraghi, razze, sogliole, muggini e branzini.

Altre pesche forniscono cernie, aragoste, naselli, polpi e calamari alle redditizie razzie compiute da intere flottiglie, come quella giapponese, che continua a pescare almeno 250.000 tonnellate di ogni tipo di pesce all’anno.

Sulle coste oceaniche del Sahara Occidentale (ex Sahara Spagnolo) invaso dal Marocco nel febbraio 1976, la prima attività economica che è stata aperta al settore privato è stata proprio la pesca e, in virtù di un primo accordo, la Spagna ha iniziato a sfruttarne le acque territoriali da una posizione privilegiata come ex potenza coloniale.

L’Ufficio Marocchino per la Pesca ha inoltre avviato programmi per il potenziamento delle infrastrutture portuali a Dakhla e La Guera, in modo da consentire l’attracco a navi da pesca di grande tonnellaggio e l’immagazzinamento frigorifero in loco.

Negli anni ottanta, le incursioni saharawi dei combattenti del Fronte Polisario si sono spesso spinte fino alla costa atlantica e hanno sorpreso numerosi pescherecci, soprattutto spagnoli e marocchini, ma anche portoghesi, sudcoreani e rumeni. In un crescendo di azioni incruenti condotte in mare, alcune navi vennero sequestrate e gli equipaggi trattenuti come prigionieri per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale che però si affrettò a presentarli come pericolosi criminali a caccia di riscatti e non come partigiani in lotta per la libertà.

Da allora il tentativo del Marocco di narrare la loro strenua resistenza come una serie episodica di ingiustificati atti barbarici compiuti da bande di violenti predoni del deserto ha trovato sempre più ostacoli, poiché sono i Saharawi ad essere i veri depredati, ed è principalmente nella prospettiva di tale visione che il pronunciamento della Corte può definirsi di rilievo storico, considerando che la sentenza mette a nudo a questa annosa questione coloniale pronunciandosi anche sull’etichettatura dei prodotti agricoli provenienti dal Sahara occidentale, che deve indicare unicamente il Sahara Occidentale come paese di origine delle merci, “escludendo qualsiasi riferimento al Marocco, al fine di evitare di indurre in errore i consumatori  circa la vera origine».

È dal lontano 1965, cioè da quando l’O.N.U. adottò per la prima volta una risoluzione che proclamava il diritto all’autodeterminazione del popolo Saharawi invitando la Spagna ad avviare il processo di decolonizzazione che tale ‘processo’ -parola che automaticamente rimanda alla stessa ipocrisia dei “processi di pace” mediorientali- venne preparato con cura da tutte le parti in gioco escludendone i legittimi proprietari.

Dai tempi del grande esodo della popolazione civile sottoposta agli attacchi militari dell’esercito di occupazione marocchino con armamenti forniti dalla Francia, questa irrisolta questione sta ospitando una delle esperienze politiche e sociali più interessanti del nostro secolo: la costruzione di uno stato in esilio, composto da cittadini profughi rifugiati.

Il popolo Saharawi in esilio, ha costituito la R.A.S.D. Repubblica Araba Saharawi Democratica, membro dell’ Organizzazione dell’Unità Africana O.U.A., riconosciuta dall’O.N.U. dal Movimento degli Stati Non Allineati e dal Parlamento Europeo.

Attualmente, senza che ciò abbia significato nulla per il miglioramento delle condizioni di sopravvivenza di questa repubblica e della sua cittadinanza, sono più di 80 i paesi che hanno ufficialmente riconosciuto la R.A.S.D. e che sostengono il diritto alla autodeterminazione del Popolo Saharawi in tutto il mondo.

Il sentimento generale è che si sia fin troppo abusato della pazienza e della tolleranza del  popolo Saharawi che non si è mai macchiato di atti di terrorismo o di attentati contro civili: è dal 1975 che si parla di indire un referendum, facilitato sulla carta dalla costituzione e dall’invio in loco di una speciale missione di caschi blu dell’ONU, la M.I.N.U.R.S.O. Missione delle  Nazioni Unite per l’Organizzazione di un Referendum nel Sahara Occidentale, il cui mandato è in scadenza il prossimo 31 ottobre. Pagine Esteri






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