di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 13 maggio 2024 – Gli indipendentisti nel complesso perdono la maggioranza assoluta che avevano dal 2012; avanzano le destre radicali spagnole e nel Parlament irrompe per la prima volta l’estrema destra indipendentista; arretrano le sinistre, indipendentiste e non.
Questo, in sintesi, il bilancio delle elezioni regionali che si sono tenute ieri nella Comunità autonoma della Catalogna e che portano alla formazione di un’assemblea schierata nettamente più a destra che in passato.
Aumenta la partecipazione
La giornata si è caratterizzata per un aumento consistente della partecipazione al voto, che è salita dal 51,3% della precedente tornata (quando pesava ancora la situazione imposta dalla pandemia) al 57,94%, in un clima di polemiche e rimostranze – soprattutto da parte delle forze indipendentiste – dopo il blocco dei collegamenti ferroviari verso Barcellona provocato da un furto di rame e da un incendio. Più di un elettore non è riuscito a votare.
Indipendentisti divisi e senza progetto
Al voto anticipato di ieri si è arrivati dopo che il presidente della Generalitat catalana, Pere Aragonès (di Esquerra Republicana, centrosinistra indipendentista) si era trovato nell’impossibilità di far approvare la legge finanziaria a causa della conflittualità con gli ex soci di governo di Junts per Catalunya (centrodestra indipendentista) che erano già usciti dalla maggioranza due anni fa rompendo il fronte sovranista pure uscito nettamente vincitore, almeno nei numeri, dalle regionali del 2021.
A Pere Aragonès le altre forze indipendentiste e parte dell’associazionismo di massa sovranista rimproverano da tempo la scelta di collaborare con il governo centrale spagnolo di Pedro Sanchez e di aver abbandonato la via unilaterale. Da parte sua Esquerra rivendica l’ottenimento della grazia per i dirigenti indipendentisti processati e condannati per il referendum del 2017 e l’imminente amnistia per migliaia di militanti ed esponenti politici.
Dopo la massiccia e capillare mobilitazione del 2015-2020, da anni il movimento indipendentista e più in generale i movimenti sociali vivono un pesante riflusso che ha lasciato spazio all’affermazione delle dinamiche politiche conservatrici e populiste di destra che hanno attecchito nel resto d’Europa già negli anni scorsi.
Tonfo storico per Esquerra, vittoria socialista
Il partito dell’ex President è uscito dalla competizione di ieri con le ossa rotte, ottenendo il risultato peggiore dal 2010: Esquerra Republicana è infatti crollata dal 21,3% al 13,7% e da 33 a 20 seggi.
Innegabile la vittoria del Partit dels Socialistes de Catalunya di Salvador Illa che invece è passato dal 23% al 27,96% e da 33 a 42 rappresentanti, tornando ai livelli di quasi 20 anni fa e affermandosi di nuovo come primo partito ma sopravanzando i secondi classificati di Junts per Catalunya.
Il centrodestra indipendentista di Carles Puigdemont infatti scavalca ERC e si rafforza, passando dal 20% al 21,61% e da 32 a 35 seggi. Un risultato non particolarmente entusiasmante per il leader del governo regionale che nel 2017 gestì il referendum per l’indipendenza represso dal governo spagnolo, per poi rifugiarsi in Belgio per evitare l’arresto. Alle scorse elezioni, infatti, una scissione di Junts che stavolta non si è presentato – il Partito Democratico Catalano – aveva raggranellato il 2,7% pur senza ottenere eletti. In totale quindi, rispetto al 2021, lo spazio politico “convergente” (da “Convergenza e Unione”, la coalizione autonomista che ha governato per decenni la Catalogna prima della svolta indipendentista) perde terreno, anche includendo la formazione indipendentista liberale di centrosinistra appena fondata dall’ex ministra di Puigdemont, Clara Ponsatì – “Alhora” – che però ha ottenuto un deludente 0,44%.
Crollano le sinistre
Pessimo il risultato ottenuto ieri dalle diverse forze di sinistra, soprattutto dal movimento anticapitalista e indipendentista della CUP (Candidature di Unità Popolare) che dal 6,67% scende al 4,1%, crollando da 9 a soli 4 seggi.
Anche la branca locale di Sumar, i Comuns di Jessica Albiach e Ada Colau, cala dal 6,87% al 5,82%, scendendo da 8 a 6 seggi.
Le destre avanzano
Buono invece il risultato di tutte le destre che si rafforzano nonostante l’exploit socialista, soprattutto grazie alla scomparsa dal panorama politico di Ciutadans, formazione di destra liberale e nazionalista spagnola che prende solo lo 0,7% rispetto al 5,57 che aveva ottenuto nel 2021.
A beneficiare del crollo di Ciutadans è stato soprattutto il Partito Popolare che passa dal 3,84% al 10,97% e da 3 a 15 seggi e recupera un ruolo di primo piano nel panorama politico catalano che aveva perso da tempo.
Anche l’estrema destra nazionalista spagnola di Vox si rafforza leggermente (smentendo le previsioni della vigilia) passando dal 7,67% al 7,96% e riconfermando gli 11 seggi della scorsa legislatura.
L’estrema destra indipendentista irrompe nel Parlament
Per la prima volta, inoltre, riesce ad entrare nel Parlament di Barcellona un partito nazionalista catalano di ultradestra, Aliança Catalana, sdoganando così una corrente politica che dalla fine del franchismo non ha mai avuto alcun peso politico. La formazione ha ottenuto il 3,8% e 2 seggi.
La tendenza era già visibile alle municipali del 2023 quando Aliança Catalana, nata nel 2020 da una scissione del piccolo Front Nacional de Catalunya – destra nazionalista – riuscì a eleggere un consigliere in due piccoli comuni (Manlleu e Ribera del Dondara) ma soprattutto a vincere a Ripoll, conquistando sei consiglieri. Facendo leva sulla propaganda contro l’immigrazione, soprattutto islamica, la fondatrice del movimento Silvia Orriols riuscì ad affermarsi in un comune dove il 14% degli 11 mila abitanti sono immigrati.
Ripoll, poi, era stata la base di una cellula jihadista guidata dal locale imam che nell’agosto del 2017 provocò una strage sulle ramblas di Barcellona (15 vittime) e un morto a Cambrils.
Forte del 30% dei voti e grazie alla tolleranza dei consiglieri locali di Junts per Catalunya in contrasto con la direzione nazionale del partito, Silvia Orriols riuscì a farsi eleggere sindaca, e nell’ultimo anno ha utilizzato Ripoll come un trampolino di lancio verso il Parlament, coccolata dalla stampa spagnola più di destra a partire da La Razon e ABC.
Secondo i sondaggi, infatti, Aliança Catalana ha ottenuto i voti da una parte dell’opinione pubblica di estrema destra e conservatrice spesso astensionista e non necessariamente indipendentista, ma ha rubato consensi anche a Junts e a Esquerra Republicana.
Venerdì Silvia Orriols, abile demagoga, ha chiuso la campagna a Ripoll all’insegna dello slogan “Salviamo la Catalogna”. La quarantenne ha sciorinato una serie di rivendicazioni e promesse che, indipendentismo identitario ed esasperato a parte, ricalca il classico campionario della destra europea reazionaria e populista.
Il discorso di AC si sovrappone in parte a quello di Vox e si concentra sulla cosiddetta “invasione” degli immigrati, considerati strumenti della “sostituzione etnica” e responsabili della svalutazione salariale; denuncia l’Islam come nemico dei valori catalani e occidentali; chiede l’espulsione dei “clandestini” per ripristinare tranquillità e sicurezza nelle città.
Mutuando alcuni dei messaggi dell’olandese Geert Wilders, però, Orriols non prende di mira la comunità Lgbtqi+ di cui anzi si erge a protettrice “contro l’oscurantismo islamista”, provocando lo sconcerto di alcuni colleghi di partito.
Mercoledì scorso anche Junts e i socialisti hanno aderito al patto antifascista proposto dalle sinistre – Cup, Erc e Comuns – per isolare Aliança Catalana ed impedire così che possa ottenere la guida di alcune commissioni parlamentari.
Il rompicapo della governabilità
Silvia Orriols sperava che i suoi eletti fossero indispensabili per la formazione di una maggioranza indipendentista, ma il crollo di ERC e della CUP – che comunque avevano già rifiutato ogni collaborazione con gli xenofobi di AC – allontana le forze indipendentiste dalla possibilità di governare. Insieme i partiti indipendentisti hanno infatti solo 59 seggi, più i due di Aliança Catalana, contro i 74 della passata legislatura.
Ma neanche per i socialisti sarà facile trovare degli alleati con i quali formare una maggioranza, a meno che non si prestino a formare un tripartito di centrosinistra che scavalchi le contrapposizioni nazionali insieme a ERC e ai Comuns, che però sommerebbe appena 68 seggi, la maggioranza più uno soltanto dei 135 componenti del Parlament.
Una maggioranza più stabile deriverebbe soltanto da un’alleanza dei socialisti con Junts per Catalunya, al momento abbastanza improbabile (anche se non impossibile). Se non si riuscisse a formare una maggioranza si dovrebbe tornare al voto ad ottobre.
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria
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