di Michele Giorgio*
(le foto dal campo di Qalamdiya e dal centro di formazione dell’Unrwa sono di Michele Giorgio)
Pagine Esteri, 19 novembre 2024 – Ci sono tante persone in attesa nell’ambulatorio dell’Unrwa nel campo profughi palestinese di Qalandiya. In maggioranza donne. Aspettano il loro turno sedute davanti all’accettazione. Una giovane con un bimbo in braccio è pronta per un prelievo di sangue nel laboratorio. «Ogni giorno riceviamo decine di persone», ci dice la dottoressa Majda Nasser, «come tutti i profughi gli abitanti di Qalandiya non hanno la copertura sanitaria dell’Autorità nazionale palestinese. È l’Unrwa ad assisterli con la medicina di base, per tutto il resto disponiamo il loro ricovero negli ospedali della Cisgiordania a spese dell’agenzia». Le preoccupazioni che riguardano l’incerto futuro dell’Unrwa, presa di mira da Israele, si avvertono anche in questa piccola struttura sanitaria. «La chiusura dell’Unrwa sarebbe una catastrofe per tutti noi, a Qalandiya e negli altri campi per rifugiati» spiega Nasser «solo qui, in questo ambulatorio, abbiamo in cura decine di malati cronici, a cominciare dai diabetici. Come potranno curarsi, chi li seguirebbe? E questo vale per tutti i profughi».
Siamo insieme ad altri giornalisti. L’Unrwa ha organizzato visite per la stampa locale ed estera nei campi profughi della Cisgiordania per rendere più note le sue attività umanitarie a sostegno di centinaia di migliaia di palestinesi. Attività che non sono confinate all’istruzione e all’assistenza sanitaria, i compiti principali per cui fu istituita nel 1949. L’agenzia dell’Onu garantisce ai profughi palestinesi della guerra arabo israeliana del 1948 e ai loro discendenti nei Territori occupati (Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est) e in tre paesi arabi (Libano, Siria e Giordania) anche aiuti alimentari e rifugi in caso di guerre ed emergenze. A Gaza le scuole e altre strutture dell’Unrwa ospitano decine di migliaia di famiglie sfollate a causa dell’offensiva militare israeliana cominciata tredici mesi fa.
Non è mai capitato nella storia delle Nazioni unite che una sua agenzia umanitaria venisse attaccata così duramente da uno Stato membro come sta facendo Israele con l’Unrwa. L’offensiva diplomatica israeliana è partita negli anni passati quando i governi di Benyamin Netanyahu hanno cominciato ad invocare la chiusura dell’agenzia che da 75 anni simboleggia il diritto al ritorno nella loro terra d’origine dei profughi palestinesi (sancito dalla risoluzione 194 dell’Onu) ottenendo l’appoggio di Donald Trump che durante il suo primo mandato presidenziale tagliò i fondi Usa all’agenzia. Nell’ultimo anno l’attacco si è fatto più intenso con le accuse all’Unrwa di essere collusa con il movimento islamico Hamas a Gaza. Infine, il parlamento israeliano, la Knesset, ha approvato il mese scorso una legge che impedirà all’agenzia più ampia dell’Onu nei Territori occupati di operare nel paese quando entrerà in vigore a fine gennaio.
I funzionari dell’Unrwa sperano che le pressioni internazionali possano fermare Israele. Allo stesso tempo sanno che il ritorno di Trump alla Casa Bianca porterà un ulteriore aggravamento della situazione dell’Onu in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est. «Al momento non sappiamo ancora quali potranno essere le conseguenze della legge votata dalla Knesset, però siamo ansiosi e ci auguriamo che non venga applicata», afferma Bahaa Awad, uno dei responsabili dei programmi dell’Unrwa per la formazione al lavoro dei giovani palestinesi. «Guardo ai ragazzi che vengono nei nostri centri a imparare un mestiere che svolgeranno da adulti. I nostri dati dicono che l’85% dei giovani che si formano qui trovano subito un lavoro o avviano un’attività. Cosa succederà a chi non avrà più questa possibilità, starà in strada senza lavoro?», domanda Awad davanti a telecamere e microfoni.
Al Training Center dell’Unrwa a Qalandiya si sono diplomati circa 20mila palestinesi dal 1953 ad oggi. Lo stesso è accaduto in altri centri di avviamento al lavoro che l’agenzia ha aperto in Cisgiordania per giovani tra i 15 e i 19 anni. I rappresentanti dell’Unrwa ci portano nei laboratori affollati di ragazzi. Alcuni studenti sono impegnati ad assemblare strumenti elettrici, altri saldano e tagliano metalli, altri ancora ascoltano una lezione sulla manutenzione delle macchine agricole. Di fronte, dall’altro lato della trafficatissima strada per Ramallah, c’è la scuola femminile, una delle quattro aperte dall’Unrwa a Qalandiya (1.152 studenti) con biblioteche e laboratori di informatica e scienza. Sono vere e proprie oasi in un campo minuscolo e sovraffollato che spesso, anche per la sua vicinanza, è teatro di incursioni di polizia ed esercito di Israele che si concludono talvolta con vittime. L’ultima è Ahmad Aslan, 19 anni, ucciso a luglio da spari dei militari. Qualcuno ha stampato il suo volto sul parabrezza dello scooter.
Da Qalandiya il pensiero corre inevitabilmente a Gaza sotto le bombe. Per i profughi e gli altri palestinesi nella Striscia la cessazione dell’assistenza dell’Unrwa avrebbe effetti catastrofici. E non solo per la mancata distribuzione degli aiuti alimentari. Qualche giorno fa il capo dell’Unrwa Philippe Lazzarini, parlando all’Onu, ha avvertito sulle conseguenze che la nuova legge israeliana avrebbe anche per l’istruzione a Gaza. «Solo l’Unrwa può garantire l’istruzione a 660.000 ragazze e ragazzi in tutta Gaza. In assenza dell’Unrwa, a un’intera generazione sarà negato il diritto all’istruzione», ha avvertito Lazzarini esortando gli Stati membri a proteggere l’agenzia.
*Questo reportage è stato pubblicato il 16 novembre dal quotidiano Il Manifesto
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