di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 11 settembre 2024 – A Pechino, dal 4 al 6 settembre, c’erano i rappresentanti di tutti e 53 i paesi africani per partecipare al Forum of Chinese-African Cooperation (Focac). All’evento politico e diplomatico più importante degli ultimi anni – come l’ha definito il Ministero degli Esteri cinese – mancava solo eSwatini (l’ex Swaziland), piccolo paese incastonato tra Sudafrica e Mozambico che mantiene rapporti diplomatici con Taiwan.

“La Cina dalla parte dell’Africa”
L’importanza del summit – realizzato all’insegna dell’altisonante mission “Unire le forze per promuovere la modernizzazione e costruire una comunità Cina-Africa di alto livello per un futuro condiviso” – è stata dimostrata dalla continua presenza del presidente della Repubblica Popolare, Xi Jinping, che nel discorso d’apertura ha annunciato l’elevamento al rango strategico delle relazioni diplomatiche con i paesi africani ed ha incontrato vari tra presidenti e primi ministri.

Il nono summit finora organizzato da Pechino – se ne svolge uno ogni tre anni ormai dal 2000 – è stato quello del rilancio dell’influenza cinese nel “continente nero” e di un parziale cambiamento di strategia rispetto al passato. A partire dal 2019, infatti, gli investimenti del gigante asiatico erano progressivamente diminuiti e ora Pechino ha voluto rimpinguarli, pur confermando una contrazione della spesa rispetto al decennio precedente. «Dopo quasi 70 anni di duro lavoro, le relazioni tra Cina e Africa vivono il loro miglior momento storico» ha detto il presidente cinese, sostenendo che la modernizzazione «è un diritto inalienabile di tutti, ma l’approccio dell’Occidente ha inflitto immense sofferenze ai Paesi in via di sviluppo».

«Gli africani dicono che la Cina è dalla parte dell’Africa» ha sottolineato invece Yassine Fall, ministro degli Esteri del Senegal. Una lettura fatta propria dai rappresentanti cinesi che hanno ribadito l’appartenenza del gigante asiatico – ormai grande potenza economica – al sud del mondo, identificandosi con i paesi africani e contrapponendosi agli Stati Uniti, all’Unione Europea e all’occidente in generale, associati al colonialismo e allo sfruttamento. Pechino ha difeso il principio di non interferenza negli affari interni dei paesi del continente ed ha promesso di rappresentare gli interessi africani nelle istituzioni internazionali.

Pechino mobilita 50 miliardi
Per rinsaldare il legame e il suo ruolo egemonico in Africa, relativamente offuscati negli ultimi anni durante i quali nel continente si è frantumata la Franciafrica, è aumentata l’iniziativa degli Stati Uniti (la cui egemonia è comunque in declino) ed è cresciuta l’influenza turca e araba, Xi Jinping ha annunciato un piano di investimenti ed aiuti economici da 51 miliardi di dollari nei prossimi tre anni (meno dei 60 promessi nel 2018 ma più dei 40 stanziati nel 2021), che dovrebbero consentire la creazione di un milione di posti di lavoro. Di questi, 30 miliardi sono di crediti e 10 di investimenti effettivi.

La Repubblica Popolare è già il primo creditore dei governi del continente. Secondo il Global Development Policy Center dell’Università di Boston, 41 tra istituzioni finanziarie per lo sviluppo, banche commerciali, enti governativi e aziende cinesi hanno concesso 1.306 prestiti a 49 paesi africani e sette istituzioni regionali per un totale di 182 miliardi di dollari.

La maggior parte degli interventi sono elencati nei due principali documenti, approvati all’unanimità – la “Dichiarazione di Pechino” e il “Piano di Azione” – che comprendono lo sviluppo della “Belt and Road Initiative” cinese e dell’Agenda 2063 dell’Unione Africana. I partner si sono impegnati a far decollare l’African Continental Free Trade Area, un’area continentale di libero scambio entrata in vigore nel 2019 ma che stenta ad affermarsi.

Da segnalare l’intenzione di Pechino di estendere in Africa due piattaforme di pagamenti internazionali alternative al sistema SWIFT controllato dagli Stati Uniti, ampliando al tempo stesso l’impiego nelle transazioni commerciali dello yuan cinese e di alcune monete africane. La misura beneficia sia la Repubblica Popolare, che vuole mettersi al riparo da eventuali boicottaggi occidentali simili a quelli che hanno colpito Mosca, esclusa dal sistema SWIFT dopo l’invasione dell’Ucraina, sia molti paesi africani già oggetto di misure restrittive da parte di Washington. Non è un caso che nei documenti del summit si citi la necessità di allargare anche all’Africa il gruppo dei paesi BRICS, contrapposto dal punto di vista geopolitico all’area d’influenza statunitense.

I vari progetti verranno gestiti attraverso una capillare rete di organismi e occasioni di coordinamento che Pechino ha sviluppato negli anni nei vari settori, surclassando la assai meno organica iniziativa dei suoi competitori.

“Piccolo ma bello”
La Cina darà una forte mano – in termini di finanziamenti – a realizzare alcune importanti infrastrutture sovranazionali, tra le quali alcuni collegamenti di carattere strategico dal punto di visto economico – come la linea ferroviaria che mira a collegare le miniere di rame dello Zambia alle coste della Tanzania – e una rete di trasporti marittimi ad esempio tra Cina e Nigeria.

Nel corso del recente Focac la dirigenza cinese ha però confermato ed approfondito la scelta, già annunciata all’inizio del decennio, di ridurre gli investimenti nei grandi progetti infrastrutturali, come ad esempio strade, ponti e ferrovie, per concentrarsi soprattutto su iniziative di impatto minore ma di tipo più capillare, all’insegna del “piccolo ma bello”, volte alla modernizzazione dell’Africa e all’aumento delle esportazioni cinesi. Rispetto al passato il gigante cinese preferisce sviluppare progetti di dimensioni più ridotte ma più numerosi, meno rischiosi dal punto di vista finanziario.

Se nel 2021 Xi Jinping decise di rinunciare a costruire centrali elettriche a carbone fuori dal territorio nazionale, ora Pechino si dedicherà soprattutto a realizzare soprattutto progetti “green”, utili a vendere gli impianti fotovoltaici e le batterie prodotte dalle proprie aziende o ad esportare veicoli elettrici sempre più difficili da piazzare sui mercati occidentali a causa dei crescenti dazi introdotti da Ue e Usa nel tentativo di favorire i propri.

Altri progetti spaziano dal sostegno a 100 università alla creazione di 25 centri di ricerca – che dovrebbero occuparsi, tra le altre cose, dello sviluppo nel continente della produzione di energia nucleare – passando allo sviluppo di 50 iniziative di carattere industriale. Pechino intende inoltre estendere la cooperazione nel commercio elettronico, negoziare un accordo quadro relativo a un partenariato economico di sviluppo congiunto, sviluppare un centro di cooperazione per la tecnologia digitale, realizzare mille progetti contro la malnutrizione, rimpinguare i fondi a disposizione della China-World Bank Partnership Fund, sostenere l’organizzazione in Africa di eventi sportivi internazionali. Xi Jinping ha poi annunciato progetti nel campo sanitario con lo sviluppo di 20 iniziative contro la malaria e la realizzazione di centri per la prevenzione delle malattie. Pechino fornirà inoltre un miliardo di yuan (141 milioni di dollari) di aiuti alimentari d’emergenza ed inviare centinaia di esperti nel paese per implementare progetti di welfare.

Pechino si propone come partner militare
Alcuni dei progetti di cooperazione elencati nei documenti del Focac riguardano il settore militare e della sicurezza. Il presidente cinese ha infatti annunciato la messa a disposizione di un miliardo di yuan destinati all’assistenza militare gratuita ai paesi africani, all’addestramento di seimila militari e di mille poliziotti. In programma c’è anche l’avvio di esercitazioni e pattugliamenti congiunti.

La Cina compie quindi un ulteriore, piccolo passo rispetto a quando, nel 2017, ha aperto una base militare a Doraleh, località costiera a pochi km dalla capitale di Gibuti. L’aumento della presenza militare cinese nel continente, avvisano alcuni esperti, sta però impensierendo la Russia, che proprio sull’assistenza militare ad alcuni governi africani ha incentrato la sua penetrazione in Africa.

L’arrivo a Pechino del presidente sudafricano Cyril Ramaphosa

L’Africa non si accontenta
Appare evidente che, anche se molti dei progetti e dei finanziamenti decisi beneficiano le economie e le società africane, a trarne vantaggio sarà soprattutto Pechino.

Oltre che per rastrellare materie prime e scorte alimentari e trovare sbocchi sicuri per le proprie merci e produzioni, la Repubblica Popolare in Africa punta anche a trovare alleati geopolitici che sostengano i suoi interessi a livello internazionale. I 54 paesi africani rappresentano infatti una quota significativa dei voti negli organismi internazionali, dall’Onu al WTO.

Da parte loro, però, i paesi africani premono affinché la Cina ridimensioni il debito e apra maggiormente il mercato interno anche alle proprie merci, ad esempio la produzione agricola, oltre che alle materie prime estratte nel continente (un quarto delle esportazioni africane, dice il Fmi, è già destinato alla Cina). Al vertice di Dakar, tenutosi nel 2021, Pechino aveva promesso di elevare le importazioni dall’Africa a 300 miliardi l’anno ma, nonostante il flusso in entrata sia cresciuto rispetto al passato, attualmente è fermo ad un terzo di quella quota. Nei giorni scorsi è stato soprattutto il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa a chiedere esplicitamente al paese ospite di «ridurre il deficit commerciale e modificare la struttura dei nostri scambi commerciali».

Allo stato, circa il 12% del credito privato e pubblico africano è detenuto da creditori cinesi, pubblici e privati. Una quota non maggioritaria ma comunque consistente.
Solo nel 2023 il gigante asiatico ha erogato prestiti per 4,2 miliardi a otto paesi africani e due banche regionali, un importo triplo a quello dell’anno precedente. Sempre lo scorso anno, le esportazioni cinesi di veicoli elettrici nel continente sono cresciute del 291% e quelle dei pannelli solari del 57%.

Venendo parzialmente incontro alle richieste africane, Pechino ha accettato di inserire nei documenti conclusivi delle proposte di riorganizzazione del debito che includono una parziale cancellazione per i paesi più poveri, oltre a iniziative di pressione nei confronti di altri creditori internazionali.
Da parte sua Pechino si è impegnata a eliminare totalmente i dazi ancora esistenti nei confronti dei prodotti importati da 33 paese africani, quelli economicamente meno sviluppati.

Si attende ora la reazione dei rivali della Cina, mentre alcuni paesi africani – ad esempio il Kenya – giocano su più tavoli nel tentativo di ottenere vantaggi dalla sempre più feroce competizione tra potenze e poli geopolitici. Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria






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