di Giuseppina Fioretti * 

Pagine Esteri, 8 aprile 2024. “Tutto è diventato cenere… i nostri cuori, i nostri sogni, le nostre speranze, i nostri ricordi, i nostri traguardi, il nostro futuro, tutto! Questa non è solo una guerra a Gaza ma è una guerra all’umanità” ha scritto il 21 marzo scorso sul suo profilo social l’artista palestinese Nameer Qassim che insieme ad altri 26 artiste e artisti palestinesi prenderà parte alla nuova collettiva d’arte Foreigners in Their Homeland proposta dal Palestine Museum US e che sarà inaugurata il 20 aprile a Venezia presso Palazzo Mora nell’ambito della mostra “Personal Structures” dell’European Cultural Centre.

Le parole di Nameer Qassim ci riportano alla devastazione materiale a cui è sottoposta Gaza, alla cenere a cui sono state ridotte le vite di decine di migliaia di palestinesi e le loro case. La guerra è soprattutto questo: la negazione della vita in tutte le sue forme, anche quella artistica. Nel 2022 Nameer Qassim aveva preso parte all’Evento Collaterale della Biennale Arte “From Palestine With Art” proposta da Faisal Saleh, direttore del Palestine Museum US e in cui espose anche l’artista di Gaza Mohammed Alhaj.

Alhaj è sicuramente uno degli artisti di Gaza più famosi, che ha animato la scena artistica del mondo arabo, non solo palestinese, attraverso la sua capacità di sperimentazione e di ricerca. Continua a farlo anche adesso, mentre con i quattro figli e la moglie cerca di salvarsi dalle bombe che cadono su ogni angolo della striscia di Gaza. All’inizio dei bombardamenti è stato costretto a dirigersi verso sud, lasciando la residenza e lo studio a Gaza City e raggiungendo prima il campo profughi di Nuseirat, al centro della Striscia, e poi Khan Yunis e infine Rafah. Le sue opere, le tele e le sculture, i bassorilievi e i murales sono andate tutte distrutte, bruciate e ridotte in cenere. Dell’incredibile lavoro artistico di Mohammed Alhaj resta traccia solo in qualche foto che ha pubblicato in passato sulle sue pagine social oltre a quelle conservate presso il Palestine Museum US.

La famiglia di Mohammed dopo il 1948 si rifugiò a Gaza proveniente dal villaggio di Kawkaba in Palestina. Emigrarono poi in Libia dove nel 1982 nacque Mohammed. All’età di 13 anni ritornò a Gaza stabilendosi prima a Nuseirat e successivamente si trasferì a Gaza City laureandosi nel 2004 in Arte presso l’Università di Al Aqsa. Questa università, fondata nel 1955, era la più antica istituzione pubblica d’istruzione superiore; divisa in due campus, uno a Gaza City e un altro a Khan Yunis, è stata completamente distrutta in questi mesi di incessanti attacchi aerei.

Dopo la laurea inizia il suo percorso di insegnante e di artista sperimentando varie tecniche e materiali. Fortemente influenzato da artisti palestinesi come Suleiman Mansour e Ismail Shammout, i suoi dipinti in una prima fase sono caratterizzati dai simboli del patrimonio artistico e culturale palestinese. Come egli stesso ama ripetere, oltre all’influenza di grandi esponenti della Lega degli Artisti palestinesi, Mohammed è stato condizionato anche dai racconti e dai ricordi di suo padre. Sulla memoria familiare costruisce una nuova fase artistica quella in cui il tempo e lo spazio diventano il focus dei suoi lavori a partire dal 2014 quando dipinge “Kawkaba Village” (tela 1).

tela 1

Poco prima suo padre aveva ottenuto il permesso di visitare il suo villaggio che era stato costretto ad abbandonare nel 1948 e al suo ritorno a Gaza il racconto di questa esperienza segnò artisticamente Alhaj.

Ispirato dai racconti del padre sul processo ancora in corso della Nakba e dall’esperienza di spostamento che lui stesso ha vissuto tra Gaza e Libia, come i tanti palestinesi in diaspora, l’artista si concentra sulla relazione tra il territorio e il dislocamento creando immagini in cui “L’ombra umana diventa l’orizzonte che porta con sé ricordi del passato e aspirazioni per il futuro”. Nelle sue opere il cambiamento dello spazio generato da spostamenti forzati diventa quasi metafisico esprimendo la consapevolezza che la dispersione, l’emigrazione forzata, la diaspora sono percorsi che accomunano i palestinesi ad altri popoli arabi i cui paesi sono devastati dalle guerre.  Con questa cognizione nel 2019 realizza una serie di quadri che intitola “Displacement” e con cui parteciperà nel 2021 alla mostra “Transizioni” tenutasi a Gaza. Di questa collezione fa parte il quadro “Immigration” (tela 2) con cui partecipa alla Biennale 2022 e insieme a due sculture dedicate al ruolo delle donne palestinesi nella Grande Marcia del Ritorno.

tela 2

I suoi dipinti incarnano l’esperienza dello sfollamento e dell’esilio e in essi si interroga sul destino di luoghi e popoli dell’intera regione mediorientale. Le sue pennellate descrivono il viaggio dell’uomo alla ricerca della sicurezza. Le tele di Displacement testimoniano la Nakba. Le ombre che si proiettano su strati e sfumature di colore rimandano il visitatore alle immagini delle rotte dei migranti coinvolgendolo in una riflessione più ampia che collega il processo di dislocamento forzato subìto dai palestinesi alla condizione di altri popoli colonizzati.

tela 3

L’arte anticipa i sogni e li rende visibili, praticabili. Del 2021 è il quadro “Movement”: la recinzione sfondata lo trasformano in un’opera profetica rispetto all’oggi in cui il desiderio di libertà soffocata è esploso in ineluttabili gesti tragici.

tela 4

Il 23 ottobre 2023 pubblica sulla sua pagina facebook la foto dell’acrilico su tela che intitola “Irrompere”, completato un anno prima, insieme a queste sue parole:

“Un giorno ce ne andremo… Dove vogliamo essere.

Prepareremo le nostre cose e le porteremo con noi …

Dove vogliamo essere

Coltiveremo la nostra casa e il nostro giardino…

Dove vogliamo essere

Ci trasferiremo nel nostro nuovo spazio geografico a nostra scelta…

E disegneremo i nostri confini dove vogliamo

Scriveremo la nostra gloria e documenteremo la nostra storia …

 Cresceremo i nostri figli e racconteremo storie ai nostri nipoti…

È questione di tempo …

Pagheremo il prezzo di un silenzio sospetto che ci circonda e ci blocca da ogni luogo.  E alla fine avremo tempo e luogo ...

Saremo dove vogliamo essere”

tela 5

“Dove vogliamo essere…” la terra amata, curata e coltivata è il luogo del desiderio che si infrange nella realtà delle barriere dell’occupazione, dell’assedio e della guerra. Di recente Mohammed mi ha scritto:

 “Mi ritrovo nuovamente trasferito da casa mia, ancora una volta si tratta di uno spostamento forzato e involontario alla ricerca di una terra neutrale che costituisca un porto sicuro, uno spazio di relativa stabilità. L’origine e la continuità della vita è data dalla stabilità, dal senso di sicurezza. Questa perdita che io e tutti i palestinesi di Gaza siamo stati costretti a subìre negli ultimi sei mesi è dovuta al genocidio senza precedenti a cui siamo sottoposti. L’idea di trasferirmi è diventata parte integrante di me. Non è stato facile per me adattarmi alla nuova vita in una tenda dove vivo con i miei quattro figli e mia moglie in condizioni disumane e con l’angoscia quotidiana di essere strappati alla vita. Non credo sarebbe difficile per me trasferirmi altrove, non importa dove, conta chi sono e cosa posso offrire con la mia pratica artistica che porto avanti adesso, in questo luogo non luogo che è la tenda, in questo tempo scandito da morte e dispersione”.

E infatti Mohammed ha continuato a disegnare. Dalla vita sotto i bombardamenti dopo il 7 ottobre 2023 nasce “Diario di uno sfollato palestinese”, inchiostro su carta (tele 7 e 8)

tela 7

 

tela 6

Il tempo interrotto nella sua vita di uomo ed artista si configura come tempo sospeso tra la necessità di sopravvivere e il desiderio di continuare la sua pratica artistica e di resistenza. Ai bombardamenti, al tentativo della politica coloniale israeliana di cancellare la loro vita e il rapporto con la Palestina, gli artisti palestinesi come Mohammed Alhaj resistono con fermezza ricostruendo immagini, ricucendo la frammentazione del tempo e dei luoghi, ribadendo la loro esistenza. Come non pensare a una breccia nel processo coloniale quando ci si sofferma dinanzi ad alcuni quadri come quelli che stiamo osservando in questo articolo? Anche nei suoi ultimi schizzi su carta bianca rileviamo non solo la denuncia dell’ennesima pratica di spopolamento forzato e annientamento ma la fermezza di rappresentare la loro esistenza malgrado le strategie violente dell’occupazione israeliana. Come scrive recentemente Tamara Taher nel suo articolo “Practicing wujud: A Constellation of sumud in the Fragmented Palestinian Presentpubblicato su Middle East Critique: “Di fronte a una temporalità catastrofica prodotta dal colonialismo dei coloni sionisti all’interno del processo di espansione coloniale che minaccia costantemente le possibilità stesse dell’essere e dell’esistere palestinese, i palestinesi ricostruiscono la loro presenza materiale e culturale nel mondo. Gli danno significato quando ogni senso viene distrutto dalla violenza coloniale…”

In occasione della mostra “From Palestine With Art” Mohammed Alhaj nell’estate 2022 ha ottenuto il permesso temporaneo di lasciare Gaza per raggiungere Venezia e collaborare con l’artista italiana Solveig Cogliani alla realizzazione di un’opera unica. Il 6 agosto i due artisti iniziarono a lavorare all’opera “The Human Bridge”, un primo tassello di un progetto più ampio in cui il Mediterraneo diventa luogo in cui ripensare ad una cultura mediterranea alternativa al mare di tombe e di commerci d’armi a cui è stato ridotto. Il progetto, ideato da Cogliani, si è sviluppato ulteriormente e nelle fasi successive ha visto la partecipazione di altri artisti palestinesi e italiani in residenze artistiche tra Gerusalemme e Roma. Nell’attuale fase del progetto, Alhaj avrebbe dovuto partecipare da Gaza con una scultura ma la situazione  presente glielo impedisce. La tela “The Human Bridge” è conservata nel Palestine Museum US del Connecticut. In essa un grande aquilone guadagna l’azzurro del cielo e del mare tra le due sponde del Mediterraneo (tela9)

tela 8

Davanti a questo quadro viene spontaneo ricordare i versi di “Se dovessi morire” di Refaat Alareer, poeta e professore di inglese ucciso in un bombardamento il 6 dicembre 2023 in cui l’immagine di un aquilone diventa il testamento di speranza per i bambini sopravvissuti. L’arte e la poesia a Gaza diventano pratiche di fermezza e resistenza nel più terribile dei contesti, nonostante le pesanti perdite di artisti e letterati, nonostante la distruzione totale delle loro opere e dei centri di produzione culturale. Ma è bene ricordare che anche prima dei massacri a Gaza a cui stiamo assistendo da mesi, l’attacco alla cultura palestinese in tutte le sue forme per indebolirne la resilienza è un attacco che va avanti da decenni anche attraverso il tentativo di imporre, mediante finanziamenti europei, una dimensione culturale in Palestina con un approccio a Oslo. Un ricatto materiale che ha trasformato Ramallah in un centro di gravità culturale vicino alla politica dell’ANP. Intanto, fuori dalla Palestina, diventa sempre più difficile trovare spazi di diffusione e conoscenza per l’arte e la cultura palestinese, soprattutto in Europa dove le strategie di censura sono sempre più forti.

In questa grave situazione emerge la straordinaria pratica di un’arte esistenziale proprio da Gaza, una pratica che rafforza l’esistenza dei palestinesi laddove li si vuole cancellare.

Per aiutare Mohammed e la sua famiglia è stata lanciata una raccolta fondi:

https://www.gofundme.com/f/please-help-artist-mohammed-alhaj-and-his-family?utm_campaign=p_cp%20share-sheet&utm_medium=copy_link_all&utm_source=customer&utm_term=undefined&fbclid=IwAR045dIVX41XbtzbFeRAzU2Sg9k7yvemQA4WPoigx23K7es-hpV2tmMP9Bs_aem_AUtOmjKfYbb6sHDj7IyJq0A_F4vR-do66NDMy_9F9KBjL-Gtun0Uxfgoc4I9Hh_j_fBEyNjS6JXIwb9DTDLFkjC6

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* Giuseppina Fioretti, laureata in Lingue e Letterature Straniere Moderne indirizzo Vicino e Medio Oriente presso I.U.O. di Napoli, è arabista e docente di scuola primaria. Consulente per “Arabook”, società di servizi specializzata nel settore editoriale. Collabora con il Palestine Museum US.






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